Gli archeologi hanno fatto una macabra scoperta in Siberia: la tomba di una giovane madre e dei suoi gemelli, tutti morti durante un difficile parto circa 7.700 anni fa.
La scoperta potrebbe essere la più antica prova di una nascita di gemelli nella storia e uno dei primi esempi di morte durante il parto.
Attraverso una tecnica fotografica non invasiva, i ricercatori dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’EURAC hanno identificato tutti i tatuaggi dell’Uomo venuto dal ghiaccio, scoprendo sul torace un tatuaggio mai notato prima.
Il colore scuro della pelle della mummia rende infatti difficile l’osservazione a occhio nudo, ma attraverso l’utilizzo di tecniche fotografiche sofisticate è stato possibile individuare e classificare anche tatuaggi presenti negli strati più profondi della cute.
Per le antiche popolazioni dell’Europa centrale, l’inizio del Neolitico, dell’Età del Rame e dell’Età del Bronzo fu accompagnato da altrettanti cambiamenti genomici, segno che le innovazioni materiali furono associate al mescolamento di popolazioni diverse. E’ quanto emerge dal sequenziamento di 13 genomi di individui vissuti nell’arco di 5000 anni, che mostra inoltre che in queste popolazioni la pelle divenne più chiara tra 19.000 e 11.000 anni fa, e la capacità di digerire il latte negli adulti comparve solo con l’Età del bronzo.
Sepoltura risalente all’Età del Bronzo nel sito di Ludas-Varjú-dulo, in Ungheria, e datato al 1200 a.C. (Janos Dani/Deri Museum, Debrecen, Hungary)
La prima testimonianza di arte rupestre prodotta dai Neanderthal è stata individuata da un gruppo di archeologi e paleoantropologi delle Università di Huelva e della Mucia, in Spagna, e del Gibraltar Museum a Gibilterra, che firmano un articolo su Proceedings of the National Academy of Sciences.
Si tratta di una serie di incisioni risalenti a circa 40.000 anni fa venuta alla luce su una parete della grotta di Gorham a Gibilterra.
Le impronte fossili di piedi umani trovate nella grotta di Ciur-Izbuc, in Romania, rappresentano le più antiche orme del genere in Europa, e forse del mondo, dicono i ricercatori. Circa 400 orme erano state scoperte nella caverna nel 1965.
Gli scienziati inizialmente le avevano attribuite a un uomo, una donna e a un bambino vissuti tra i 10.000 e i 15.000 anni fa. Tuttavia, le misurazioni al radiocarbonio di due ossa di orso, scavate proprio sotto le orme, indicano che l’Homo sapiens lasciò quelle tracce circa 36.500 anni fa, spiega l’antropologo David Webb, della Kutztown University in Pennsylvania.
Le orme umane nella grotta di Ciur-Izbuc (American Journal of Physical Anthropology)
Il patrimonio genetico di Ötzi è stato già decifrato. Ma un microscopico campione di appena 0,1 grammi prelevato dall’osso pelvico della mummia – risalente a 5.300 anni fa – è ancora in grado di fornire molte informazioni sull’Iceman.
I ricercatori dell’EURAC di Bolzano e dell’Università di Vienna hanno infatti analizzato i frammenti di DNA non umano rilevati sul campione, trovando traccia del batterio Treponema denticola, responsabile della paradentosi. A livello genetico è stata così confermata la Tac, effettuata nel 2013, secondo cui Ötzi avrebbe sofferto di paradentosi.
Nel sito archeologico di Isernia La Pineta, risalente a circa 600 mila anni fa, è stato rinvenuto un dente di bambino che, allo stato attuale delle ricerche, rappresenta il più antico resto umano della Penisola Italiana.
Si tratta di un primo incisivo superiore sinistro da latte di un bambino deceduto all’età di circa 5-6 anni. Il dente mostra caratteristiche particolari che non si ritrovano negli altri reperti rinvenuti in Europa, seppur riconducibili ad un ampio contesto cronologico. Da questi si discosta perché più gracile e meno bombato.
Incisivo superiore da latte del bambino de La Pineta (foto di Claudio Berto, elaborazione di Julie Harnaud)La Pineta: le attività di scavo nel corso del 2014 (C. Peretto)
Il ritrovamento del cadavere di un bimbo affetto dalla sindrome di Down nella necropoli di Chalon-sur-Saône, datata tra il quinto e il sesto secolo dopo Cristo, nel nord est della Francia, fissa una nuova data sulla esistenza comprovata di questa disfunzione genetica e (forse) su come fosse vissuta dai nostri antenati.
La scoperta ha portato alla luce il più antico ritrovamento archeologico che conferma l’esistenza di tale sindrome fin dal principio del medioevo e, cosa forse più importante, secondo alcuni studiosi la postura in cui è stato sepolto il cadavere indica che all’epoca in Francia la malattia non veniva stigmatizzata in alcun modo.
(SPL)La sindrome di Down è causata dalla presenza di una terza copia del cromosoma 21 (Cl. Afan)
Fra 2,5 e 1,5 milioni di anni fa la forte instabilità climatica che regnava in Africa orientale avrebbe portato all’evoluzione di numerose specie e sottospecie coesistenti di ominini, ciascuna caratterizzata da tratti utili per una differente strategia di sopravvivenza.
Proprio questo complesso mosaico avrebbe permesso lo sviluppo del genere Homo, caratterizzato dalla capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali, più che dall’adattamento a un qualsiasi ambiente.
La mutaziona genetica che ha permesso ai tibetani di adattarsi brillantemente alla vita in alta quota è stata probabilmente ereditata grazie a un incrocio dei loro lontani antenati con qualche gruppo di antichi umani noti come denisoviani. L’uomo di Denisova è una specie umana arcaica – strettamente imparentata con quella dei neanderthaliani, e come questa estinta – che, migrata dall’Africa in epoca molto remota (si stima quasi mezzo milione di anno fa) ha popolato parte dell’Asia, e soprattutto diverse regioni della Siberia.
L’analisi dei fossili di ominidi di Sima de los Huesos – risalenti a 430.000 anni fa – sembra indicare che le prime popolazioni giunte in Europa si siano ramificate in numerosi piccoli gruppi, che si sono poi rapidamente differenziati. Tutti questi gruppi si sarebbero poi estinti, forse per problemi climatici, con la sola eccezione del lignaggio dei Neanderthal, fino al più tardo arrivo dell’uomo moderno.
I ricercatori al lavoro nella Sima de los Huesos, la “buca delle ossa” nella Sierra di Atapuerca (Javier Trueba, Madrid Scientific Films)