Le tombe reali di Ur

Lira con testa di toro barbuto (penn.museum)

I primi scavi di C. Leonard Woolley a Ur (Iraq) coincisero con la scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922 da parte di Howard Carter.

La spedizione di Woolley impiegò dodici stagioni di scavi con centinaia di lavoratori, fino a quando la grande Depressione bloccò i fondi nel 1934. Il punto centrale era il cimitero reale, le cui tombe erano piene di raffinati manufatti del Periodo protodinastico, di circa 4500 anni fa.

L’impresa avrebbe ispirato il romanzo “Non c’è più scampo” (Murder in Mesopotamia) scritto da Agatha Christie nel 1936. Sei anni prima, Christie aveva sposato l’assistente di Woolley, Max Mallowan, che disse del suo capo: “Non gli sfugge nulla, e la sua immaginazione coglie ogni cosa”.

Il commento è evidenziato nella nuova mostra all’Università della Pennsylvania “Iraq’s Ancient Past: Rediscovering Ur’s Royal Cemetery” (recensito dal Wall Street Journal), ma ora ha assunto una forma ironica.

Sebbene Woolley fosse cauto e coscienzioso, dice la mostra, non si condivide esattamente la descrizione di Mallowan; molte conclusioni sono considerate errate.

“Raccontava belle storie”, dice Richard L. Zettler, co-curatore dell’esposizione. “E quando componeva le storie, vi si “attaccava”. E ciò occasionalmente lo rendeva cieco alle prove che potessero essere contraddittorie”.

Questa rappresentazione di capra è stata associata da Woolley al biblico Ariete nel boschetto (penn.museum)

Zettler continua: “Questi sono manufatti che hanno ancora molto da dirci. Se solleviamo le giuste questioni, noi abbiamo le giuste metodologie [e] le giuste tecnologie [per] far parlare ancora questi oggetti”.

L’affermazione più sorprendente dell’esibizione è che i guardiani sepolti nella cosiddetta Grande Fossa della Morte e in altre tombe reali non bevvero volontariamente il veleno per unirsi ai loro sovrani negli inferi, come Woolley aveva ipotizzato.

Recenti TC eseguite su due teschi, appartenenti a un soldato dall’elmo d’oro e ad una guardiana, indicano che le cause di morte siano state piuttosto dei traumi provocati da una qualche forza non affilata – secondo Zettler, un piccone.

Non si sa invece se queste pratiche fossero segrete, chi fossero gli omicidi, e come così tanti individui – c’erano 74 scheletri nella Grande Fossa della Morte – avessero potuto essere indotti alla loro morte. “Potrebbero esser stati tutti drogati, e poi uccisi”, dice Zettler. “È un enigma”.

Woolley propose poi che la regina Puabi scelse il luogo della sua tomba vicino al suo amato re (morto), ma pare invece che la tomba del re venne costruita dopo quella di lei, e che Puabi regnò da sola.

Questa mostra offre altre revisioni. Il diadema della regina, per esempio, è stato ricostruito come una serie di collane separate piuttosto che un elaborato giracollo molto stretto.

Copricapo di piume di Puabi (penn.museum)
Ricostruzione della gioielleria di Puabi (penn.museum)

Metà dei ritrovamenti di Woolley sono rimasti in Iraq; l’altra metà venne divisa tra il Penn Museum e il British Museum.

I siti archeologici erano stati “protetti” sotto la dittatura di Saddan Hussein decretando la pena di morte per i saccheggiatori. Dopo la sua caduta nel 2003 i saccheggi sono ripresi su larga scala, ma Ur è stata salvaguardata grazie alla vicinanza ad una base militare statunitense.

Opposto è stato il destino dell’Iraq Museum. L’allora direttore Donny George fa sapere però che circa 6000 dei 15000 dei manufatti rubati sono ritornati, grazie all’amnistia e al programma di ricompense parzialmente finanziato dagli americani. I manufatti di Ur e altri tesori vennero invece celati al sicuro nei caveau di banche e altrove.

La mostra al Penn Museum, aperta dal 25 ottobre 2009, espone documenti e fotografie della spedizione di Woolley e più di 220 straordinari manufatti rinvenuti a Ur.

Amuleto d'oro a forma di toro (penn.museum)
Cassetta per cosmetici trovata nella tomba di Puabi (penn.museum)
Recipiente per cosmetici a forma di conchiglia (penn.museum)

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