
In Spagna sono state scoperte delle possibili prove di commercio di pellicce di gatto, se non addirittura tracce di riti pagani. In una fattoria medievale gli archeologi hanno rinvenuto circa 900 ossa di gatto domestico che presentano tagli e fratture compatibili con la pratica di spellamento.
La maggior parte dei gatti aveva tra i 9 e i 20 mesi di età alla morte, probabilmente perché gli animali sarebbero stati già abbastanza grandi mentre la loro pelliccia era ancora relativamente intatta.
Nel sito archeologico di El Bordellet, nei pressi della città spagnola di Vilafranca del Penedès, erano già stati trovati dei reperti di epoca medievale durante la costruzione di un’autostrada nel 2010. Ora, grazie a scavi più recenti, i ricercatori hanno scoperto nove fosse dove probabilmente si conservavano i raccolti delle fattorie. Alcuni di queste contenevano ossa di pecore, capre, bovini, suini, cani e cavalli. Una era tuttavia particolare poiché conteneva un’insolita quantità di resti di felino – circa 900 ossa di gatto domestico, datate al carbonio-14 tra il 970 e il 1025 d.C.
Gatti scuoiati
Molti indizi hanno portato gli archeologi a concludere che i gatti erano stati probabilmente spellati. Il numero, l’angolazione, l’intensità e l’ubicazione dei segni da taglio e delle fratture sulle ossa sono coerenti con gli esperimenti di scuoiamento di animali fatti dai ricercatori. Lo stato delle ossa suggerisce che la maggior parte dei felini avesse tra i 9 e i 20 mesi di età alla morte. È un dettaglio non casuale: questa era probabilmente la migliore età per prendere le pellicce; i felini sono relativamente grandi ma il loro pelo è ancora privo di danni, parassiti o malattie.
Tale pratica era già stata osservata in numerosi siti archeologici dell’Europa settentrionale, in particolare in Gran Bretagna e Irlanda. «Le pellicce erano fondamentalmente usate per fabbricare indumenti, soprattutto cappotti», così come maniche e colli, dice l’autore principale dello studio Lluís Lloveras, zooarchaeologo dell’Università di Barcellona. «Alcuni testi fanno anche riferimento alle qualità curative della pelliccia del gatto, ma anche alla sua possibile nocività».
I reperti archeologici e i testi medievali ci dicono che la pelliccia di gatto veniva spesso commerciata nel Medioevo. «Le pellicce del gatto e del coniglio hanno molte analogie in termini di qualità e al tatto», ha dichiarato Lloveras a Live Science. Venivano spellati sia i gatti domestici che i gatti selvatici, anche se questi ultimi potevano valere fino a 100 volte di più. «La pelliccia dei gatti domestici era solitamente usata da persone meno ricche o da gruppi sociali che dovevano dimostrare una certa austerità, come le suore», ha aggiunto Lloveras.
Uno studio del 2013 sulla rivista Antiqvitas aveva scoperto prove di scuoiamento di gatto nella parte musulmana dell’Iberia medievale. Questa nuova ricerca potrebbe essere la prima prova concreta di tale pratica anche nella parte cristiana dell’Iberia. «Ciò dimostra che lo sfruttamento di pellicce di gatto era comune sia nel mondo musulmano che in quello cristiano», ha detto Lloveras.
Rituali pagani?
Oltre al commercio, potrebbe esserci un’altra ragione per questa pratica: un rito magico pagano. Accanto alle ossa feline ci sono i resti di altri animali, tra i quali un cranio di cavallo, un frammento di corno di capra e gusci d’uovo di gallina. «Tutti questi particolari resti animali sono stati associati a pratiche rituali nel Medioevo e anche in tempi successivi», ha detto Lloveras.
Per esempio, uno studio del 1999 sull’International Journal of Osteoarchaeology aveva scoperto che uno scheletro parziale di gatto – sepolto con numerose galline sotto un muro del tardo XV – inizio XVI secolo in Inghilterra – faceva parte di un rito commemorativo durante la costruzione. Purtroppo la documentazione archeologica della regione non chiarisce se queste ossa fossero insieme per una coincidenza o come parte di un rituale. «Attendiamo nuove scoperte nella zona», ha detto Lloveras. Gli scienziati hanno riportato i loro risultati sulla rivista International Journal of Osteoarchaeology.