Ecco ‘Neo’, il più completo scheletro di Homo naledi mai trovato

Il cranio di “Neo”, individuo di Homo naledi scoperto nella camera Lesedi (Wits University/ John Hawks)

Quando due anni fa i cacciatori di fossili svelarono i resti di una misteriosa e arcaica nuova specie umana, nelle profondità di una grotta in Sudafrica, la comunità scientifica rimase sbalordita. Da allora, i corpi dei membri della famiglia a lungo dimenticata si sono moltiplicati.

Nello studio pubblicato sulla rivista eLife si parla dei resti di almeno 18 Homo naledi. L’ultimo ritrovamento di ossa, scoperte in una grotta a 100 metri dal primo, include un cranio adulto quasi completo.

I test hanno datato le ossa tra i 335.000 e i 236.000 anni fa, rendendole molto più recenti di quanto molti scienziati si aspettassero. «Significa che questa primitiva specie di ominide coesistette con l’Homo sapiens“, ha detto Lee Berger, scienziato dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg.

Le ossa, incredibilmente, mostrano pochi segni di malattia o stress da scarso sviluppo, suggerendo che l’Homo naledi potrebbe essere stata la specie dominante nella zona all’epoca. “Sono i morti più sani che si possano vedere”, ha detto Berger.

L’Homo naledi era alto circa 150 cm di e pesava intorno ai 45 kg. Ma è straordinario per la sua miscela di caratteristiche antiche e moderne. Ha un cervello piccolo e le dita curve adatte all’arrampicata, ma i polsi, le mani, le gambe e i piedi sono più simili a quelli dei Neanderthal o degli uomini moderni. Se la datazione fosse accurata, l’Homo naledi potrebbe essere emerso in Africa circa due milioni di anni fa, ma mantenne alcune delle sue caratteristiche più antiche, anche durante l’evoluzione degli esseri umani moderni.

«È incredibilmente giovane per una specie con ancora le caratteristiche primitive dei fossili di circa due milioni di anni fa», ha detto Chris Stringer (Museo di Storia Naturale di Londra), non coinvolto nella ricerca. L’età delle ossa e la loro scoperta nel sistema di grotte Rising Star, ai margini della Culla dell’umanità, ha portato Berger a speculare che alcuni antichi strumenti di pietra trovati nella regione potrebbero essere stati erroneamente attribuiti all’Homo sapiens. Potrebbero invece essere stata opera dell’Homo naledi.

A sinistra il cranio di Kabwe (Zambia), un uomo arcaico. A destra il cranio di Neo (Wits University/ John Hawks)
A sinistra lo scheletro dell’Australopithecus afarensis Lucy (3,2 milioni di anni). A destra lo scheletro di Neo (250,000 anni) (Wits University/ John Hawks)

Nessun utensile di pietra è mai stato trovato con le ossa dell’Homo naledi, ma Stringer non esclude la possibilità che la specie possa averne creati: «Sembra molto probabile che le sue lavorazioni siano presenti nella documentazione archeologica dell’Africa meridionale, ma attualmente non gli sono attribuiti», ha detto.

Un’altra questione riguarda come siano arrivati fin qui i corpi. Berger non crede che le creature siano arrivate lì per caso: «Penso che la scoperta di questa seconda camera aggiunga l’idea che l’Homo naledi abbia deliberatamente disposto i suoi morti in queste profonde camere sotterranee. Non vedo altro modo, tranne che entrare in queste remote camere e portarvi i corpi dentro». Per farlo, sospetta, erano anche in grado di controllare il fuoco.

Schema del complesso di grotte detto Rising Star (Marina Elliott / Wits University)

Altri non ne sono così sicuri. Stringer e molti altri esperti dubitano che l’Homo naledi, con un cervello grande quanto quello di un gorilla, fosse in grado di un comportamento così complesso. «Forse delle ulteriori indagini riveleranno altri, più stretti, ingressi o pozzetti temporaneamente aperti, attraverso i quali i resti potrebbero essere stati introdotti accidentalmente o con processi naturali”, dice. Secondo Jessica Thompson, archeologa paleolitica presso l’Università Emory di Atlanta, ciò che le ossa chiariscono è che l’evoluzione umana non è stata una progressione diretta e lineare da una specie all’altra come spesso si pensa. «Non si inizia con qualcosa che sembra una scimmia, poi diventa una scimmia antropomorfa, e infine un essere umano. È molto più complicato».

La geologa Hannah Hilbert-Wolf, nella camera Dinaledi (Wits University)
La ricercatrice Marina Elliott (Dirk van Rooyen / Wits University)
Un fulmine catturato durante una tempesta nel 2013 (Wits University / Ashley Kruger)
Panorama dell’area (Marina Elliott / Wits University)
Il gruppo di esploratori in una grotta di Rising Star (Marina Elliott / Wits University)

The Guardian

Università del Witwatersrand

New Scientist

eLife

Vedi anche: L’Homo naledi a metà tra scimmia antropomorfa e uomo

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