Un’offerta votiva alla dea Demetra, la protettrice del grano e dell’agricoltura, un piccolo flauto in osso, un vaso corinzio, bracciali e pendenti, sono tra i resti di quello che è diventato il più antico tempio di Selinunte, in Sicilia.
Nei mesi scorsi erano già stati identificati parte del muro e del pavimento; adesso sono stati messi in luce due fori di palo di grandi dimensioni, forse i resti del colonnato centrale.
La ceramica rinvenuta in prossimità dei fori di palo è stata datata intorno al 650-625 a.C., incluso un vaso dalla forma allungata (lekythos) di stile protocorinzio con animali che pascolano.



Le ricerche, che si sono concentrate sul Tempio R, collocato subito a sud del Tempio C, hanno confermato le ipotesi formulate negli anni passati in base all’indagine all’esterno dell’edificio. In età ellenistica, verso il 300 a.C., l’interno del tempio R è stato colmato con uno spesso riempimento di tegole, terra e anfore da trasporto, alto più di un metro.
Il risultato è stato di avere integralmente sigillato i livelli arcaici e classici del Tempio R, facendo oggi ritrovare perfettamente conservato il piano pavimentale del V secolo, con abbondanti tracce di incendio, devastazione, e nel quale si sono rinvenute punte di frecce, riferibili alla presa cartaginese della città nel 409 a.C., ma anche i frammenti di una lekythos attica a fondo bianco (ca. 480 a.C.) confrontabile in stile con analoghe opere del pittore Douris, o i frammenti delle terrecotte architettoniche policrome del Tempio C e di altri edifici arcaici dell’Acropoli.


Ancor meglio leggibile è il piano pavimentale di età arcaica: questo includeva, accuratamente incastrata nel pavimento all’interno della cella, una statuetta in terracotta della dea del tempio (più probabilmente Demetra), con basso polos e ampio mantello, databile intorno al 570 a.C. Contro i muri est e sud dell’edificio, all’interno della cella, sono state rinvenute numerose offerte votive che includono un numero significativo di vasi con funzione rituale, ceramica importata e terrecotte figurate, armi in ferro e in bronzo, ed elementi di ornamento personale, come braccialetti e vaghi di collana o un pendente configurato a torello di produzione egizia o fenicia.


Particolarmente significativo, tra queste offerte votive, un flauto in osso, ben conservato per due terzi della lunghezza originaria, e deposto attorno al 570 a.C. assieme ad un piccolo vaso corinzio. La dedica del flauto fa chiaramente riferimento a spettacoli musicali e danze collegate al culto della dea, raffigurate su una serie di vasi corinzi dedicati nell’area del Tempio R.


“I recenti scavi – ha spiegato Caterina Greco, dirigente responsabile del parco archeologico di Selinunte – hanno prodotto risultati della massima importanza per la nostra conoscenza non solo dell’area di studio, ma anche e soprattutto della storia del sito archeologico nella sua totalità. Si tratta di un recupero straordinario realizzato con fondi della New York University e con il coordinamento della direzione del Parco Archeologico di Selinunte, una sinergia che a Selinunte ha prodotto i primi frutti di un moderno modello di gestione dell’indagine scientifica. Un apprezzamento, inoltre, alla squadra guidata dal professor Marconi, in cui operano fianco a fianco archeologi, architetti, antropologi, restauratori, disegnatori, esperti informatici, un gruppo in grado di elaborare e di disporre in tempo reale dei dati giornalmente acquisiti sul campo”.
“Questo predecessore del Tempio R – conclude Clemente Marconi, professore all’Institute of Fine Arts della New York University e responsabile dello scavo per la parte americana – è al momento il tempio più antico di Selinunte, e uno dei templi più antichi fin qui scavati in Sicilia. Le ulteriori ricerche potranno fornire ulteriori chiarimenti circa le dimensioni e la pianta dell’edificio: si tratta comunque di una scoperta notevole, che dimostra come la costruzione dei templi delle principali divinità della polis fosse uno degli atti eseguiti alla fondazione delle colonie, e non piuttosto un fenomeno di una o due generazioni più tardi, come suggerito dalla letteratura più recente”.
